Il documento del Partito Democratico Lombardia sul referendum per l’autonomia rafforzata in programma in Lombardia il 22 ottobre 2017.
L’indizione del referendum sul federalismo differenziato è l’atto con il quale si chiude la legislatura di Roberto Maroni, caratterizzata da tante inchieste giudiziarie e da pochissimi risultati. Iniziata con la solenne promessa di trattenere sul territorio almeno il 75% delle tasse pagate dai cittadini lombardi, terminerà a quattro mesi dal voto con un costoso e inutile referendum consultivo. Dopo cinque anni Maroni non solo non manterrà la promessa, ma sprecherà di sicuro 50 milioni di euro. Un vero fallimento politico e amministrativo.
In questo contesto è bene ricordare che il federalismo differenziato è stato inserito in Costituzione dal centrosinistra nel 2001. Come PD, abbiamo da sempre sostenuto la possibilità per le Regioni in equilibrio di bilancio di vedersi riconosciute competenze aggiuntive accompagnate da adeguate risorse, così da valorizzare le vocazioni e le specificità di ciascun territorio, mantenendo fermi come valori indiscutibili l’unità nazionale e la solidarietà dei territori.
La strada intrapresa da Maroni ci ha però trovati fin dall’inizio contrari, sia per i tempi sia per il metodo. La Lombardia avrebbe potuto, senza chiedere nessuna ulteriore autorizzazione e senza alcun costo per i cittadini:
– predisporre un progetto di autonomie rafforzate, indicando con precisione le materie;
– avviare il confronto con gli Enti locali;
– approvare in Consiglio Regionale il progetto di autonomia “rafforzata”;
– chiedere al Governo l’immediata apertura di un tavolo di confronto.
Nulla di questo è avvenuto. Il Presidente della giunta regionale in quattro anni non ha mai chiesto al Governo di aprire la trattativa per il federalismo differenziato. Ha ignorato la disponibilità più volte espressa dal Governo di essere pronti al negoziato. Ha sprecato la disponibilità delle opposizioni di centrosinistra, dei Sindaci dei Comuni capoluogo e dei Presidenti di provincia di affiancarlo in questa fase per dare più forza all’iniziativa della Regione. Ha invece deciso di buttare al vento un’irripetibile condivisione trasversale tra le forze politiche e gli amministratori locali e ha indetto un referendum consultivo basato su un quesito ovvio:
“Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”
Questo referendum andava evitato e per questo ci siamo battuti in Consiglio Regionale. E con lo stesso impegno ora ci batteremo affinché questa consultazione non venga strumentalizzata da Maroni e dai partiti che compongono la sua maggioranza. Ci batteremo affinché la campagna referendaria non si trasformi in una campagna elettorale pagata con i soldi dei cittadini. In queste settimane abbiamo assistito a dichiarazioni roboanti sul tema del residuo fiscale, ad annunci sulla sicurezza e ad una campagna di comunicazione sul referendum senza precedenti, già costata un milione e mezzo di euro. Maroni parla di trattenere 54 miliardi in Lombardia, una cifra che è più del doppio del bilancio dell’intera Regione e della legge di stabilità 2016 per l’intero Paese.
Il referendum del 22 ottobre non ha però nulla a che vedere con il residuo fiscale e le tasse pagate dai lombardi, non riguarda la sicurezza che è una materia di competenza esclusiva nazionale nè la possibilità di fare della Lombardia una regione a Statuto speciale. Bisogna fare chiarezza. In questo senso va il tentativo messo in campo dai Sindaci delle città capoluogo e dai Presidenti di provincia, affinché i lombardi siano correttamente informati e che si contrasti ogni tentativo di distorcere il significato del voto.
Allo stesso tempo, il PD lombardo vuole perseguire seriamente l’obiettivo del federalismo differenziato e affrontare la sfida della riduzione del residuo fiscale. La nostra proposta è concreta, Regione Lombardia dovrà chiedere al Governo maggiore autonomia nelle seguenti materie:
– tutela dell’ambiente e dell’ecosistema;
– tutela dei beni culturali;
– protezione civile;
– istruzione e formazione;
– ricerca scientifica e sostegno all’innovazione.
Lo faremo coinvolgendo tutti i territori e le istituzioni della Lombardia, evitando il rischio di un neo-centralismo regionale. Il federalismo differenziato su queste materie vale un miliardo di euro di trasferimenti statali. Nella trattativa con il Governo chiederemo inoltre l’applicazione dei costi standard nella sanità e nei trasporti (in fase di prima applicazione vale 700 milioni di euro in più all’anno), il recupero dal contrasto all’evasione dell’Iva (oltre 100 milioni) e l’aumento degli spazi finanziari per gli investimenti (oltre 500 milioni). Una proposta che vale più di due miliardi di euro. Se si continua a chiedere l’impossibile, allora il rischio che si corre è quello di rimanere con un pugno di mosche in mano, esattamente quello che è successo alla Lega quando era contemporaneamente al Governo del Paese e della Lombardia. Se invece si mettono in campo proposte concrete, argomentate e dettagliate, allora si possono portare a casa risultati e risorse importanti per il territorio, come fatto in occasione del Patto per Milano e del Patto per la Lombardia.
Se si parlerà di questi temi, noi ci saremo. Se invece, nonostante la nostra disponibilità al dialogo, il referendum si trasformerà in una farsa, allora il Partito Democratico non vi prenderà parte.